2020\21

Pinocchieide – Opere su tela, dimensioni medie 30 x 30 cm

2. Dandy Geppetto

Immagine 2 di 12

Pinocchieide fa rima con Eneide, e non a caso. In comune hanno il viaggio, come metafora dell’esistenza, quel riaccendersi inesausto del desiderio di un approdo, nonostante le derive e le cadute, in una continua lotta tra libertà e destino. Ma nella nostra Pinocchieide nessuna retorica dell’azione, nessuna dottrina, solo una storia sedimentata nell’infanzia. Un pre-testo, dunque, che soggiace a una pittura lucidamente indagata per segni e cromie, tesa a ricercare analogie e scarti tra parola e immagine, con ironia e disincanto. Sta a noi scegliere se cominciare il percorso in compagnia di Collodi, libro alla mano, o seguire lo sguardo di Paolo Maggi che ne propone una rilettura, installando in galleria il suo serial narrativo in 12 quadri. Eccoci allora davanti alla sfida che ogni immagine porta con sé: entrare anche noi in questo campo di tensione senza dare nulla per scontato, o cedere alla tentazione di ricondurre il visibile all’immediata riconoscibilità delle figure che lasciano sullo sfondo il burattino. Le sue interpretazioni possiamo vederle come bloccate in un montaggio prestabilito, oppure sfogliarle come pagine di un ipertesto, sceglierle e rimontarle a piacimento, lasciandoci sorprendere da un risultato imprevisto. Perché, come Paolo, rifuggiamo le didascalie di un repertorio chiuso nel circuito di quella fortuna iconografica che la favola ha consolidato in tradizione. D’altra parte è egli stesso ad avvertirci di come ogni catena narrativa – specie quando ha un referente letterario – è sempre esposta al rischio dell’ovvietà. Basterà scorrere il doppio titolo che ha scelto per ogni quadro, per capire che ogni immagine interferisce con il suo e il nostro Presente, restituendo impercettibili sommovimenti della memoria, per alcuni ancora viva, per altri ormai, già passato remoto. Facendo rimbalzare il nostro sguardo dal primo piano allo sfondo in una continua oscillazione, il nostro autore rimette al mondo proprio quel Pinocchio che si affaccia timidamente da uno schermo, quasi fosse un fantasma della memoria. Occorrerà allora lasciarsi colpire da questo muto dialogo di forme e colori, seguirne le tracce che si sono sedimentate al passaggio di ogni mano nella costanza di un lavoro quotidiano, per intuirne la capacità visionaria che lascia sempre aperta un’altra possibilità di significato. Un po’ come accade a chi provi ad ascoltare, e non sempre a dire. Magari per riscoprire di quando, ancora bambino, dava un nome alle nuvole per abitare il cielo. Quel cielo che sfugge ad ogni misura, come sarà finanche per il Brunelleschi con le sue tavolette. Suggerendoci che quando ancora è lo stupore a guidarci, ogni favola ricomincia.
Maria Angelastri, giugno 2022

Pinocchieide fa rima con Eneide, e non a caso. In comune hanno il viaggio, come metafora dell’esistenza, quel riaccendersi inesausto del desiderio di un approdo, nonostante le derive e le cadute, in una continua lotta tra libertà e destino. Ma nella nostra Pinocchieide nessuna retorica dell’azione, nessuna dottrina, solo una storia sedimentata nell’infanzia. Un pre-testo, dunque, che soggiace a una pittura lucidamente indagata per segni e cromie, tesa a ricercare analogie e scarti tra parola e immagine, con ironia e disincanto. Sta a noi scegliere se cominciare il percorso in compagnia di Collodi, libro alla mano, o seguire lo sguardo di Paolo Maggi che ne propone una rilettura, installando in galleria il suo serial narrativo in 12 quadri. Eccoci allora davanti alla sfida che ogni immagine porta con sé: entrare anche noi in questo campo di tensione senza dare nulla per scontato, o cedere alla tentazione di ricondurre il visibile all’immediata riconoscibilità delle figure che lasciano sullo sfondo il burattino. Le sue interpretazioni possiamo vederle come bloccate in un montaggio prestabilito, oppure sfogliarle come pagine di un ipertesto, sceglierle e rimontarle a piacimento, lasciandoci sorprendere da un risultato imprevisto. Perché, come Paolo, rifuggiamo le didascalie di un repertorio chiuso nel circuito di quella fortuna iconografica che la favola ha consolidato in tradizione. D’altra parte è egli stesso ad avvertirci di come ogni catena narrativa – specie quando ha un referente letterario – è sempre esposta al rischio dell’ovvietà. Basterà scorrere il doppio titolo che ha scelto per ogni quadro, per capire che ogni immagine interferisce con il suo e il nostro Presente, restituendo impercettibili sommovimenti della memoria, per alcuni ancora viva, per altri ormai, già passato remoto. Facendo rimbalzare il nostro sguardo dal primo piano allo sfondo in una continua oscillazione, il nostro autore rimette al mondo proprio quel Pinocchio che si affaccia timidamente da uno schermo, quasi fosse un fantasma della memoria. Occorrerà allora lasciarsi colpire da questo muto dialogo di forme e colori, seguirne le tracce che si sono sedimentate al passaggio di ogni mano nella costanza di un lavoro quotidiano, per intuirne la capacità visionaria che lascia sempre aperta un’altra possibilità di significato. Un po’ come accade a chi provi ad ascoltare, e non sempre a dire. Magari per riscoprire di quando, ancora bambino, dava un nome alle nuvole per abitare il cielo. Quel cielo che sfugge ad ogni misura, come sarà finanche per il Brunelleschi con le sue tavolette. Suggerendoci che quando ancora è lo stupore a guidarci, ogni favola ricomincia.
Maria Angelastri, giugno 2022

Cartella dell’opera con testo di presentazione, spampa digitale in 50 esemplari numerati e firmati.